Al termine del primo capitolo ho associato due figure che, tradizionalmente, sono considerate gli estremi protagonisti della lotta di classe: il Cittadino Imprenditore ed il Cittadino Disoccupato. L’approccio psicologico delle due categorie al mondo del lavoro deve farci riflettere. Entrambe sono disposte ad enormi sacrifici, pur di perseguire i propri fini. Non credo vi siano altre categorie lavorative che si possano paragonare loro per tensione e determinazione verso il raggiungimento del risultato. Certo è che il risultato a cui tendono è di due diverse tipologie. Per l’imprenditore il risultato è, notoriamente, dinamico. Incrementare il ritorno economico o, nella peggiore delle ipotesi, ridurre le perdite e perdurare nella qualifica di imprenditore. Si può essere d’accordo nel considerare il termine “fallito” come l’opposto del termine “imprenditore”. Per il disoccupato le cose non sono molto diverse, ma è interessante porci la seguente domanda: ”Qual è l’opposto del termine disoccupato?”. Se tale domanda fosse inserita in un dizionario della lingua italiana la risposta sarebbe: ”Occupato”. Ma questo non è un dizionario. Qual è la nostra risposta? E’ forse dipendente, lavoratore dipendente? E perché non imprenditore? Perché l’imprenditore non è tutelato, proprio come non lo è il disoccupato, e per di più è una qualifica non definibile “in divenire”, di passaggio, e quindi è esposta alla non tutela per un periodo indeterminatamente lungo. Entrambi vivono alla giornata, non conoscono tutele, né tariffe o Contratti Collettivi Nazionali. La pari dignità dei cittadini è raggiungibile solo se tutti gli esseri umani che vivono in una Nazione possono raggiungere uno stesso grado di democratica sicurezza nelle tutele. (dicembre 2003 - novembre 2004) |